Passi tratti da “I gnari de 'na òlta” di Nadia Campanelli edito da Cooperativa Lavoratori

Mompiano… tanto tempo fa Il tempo è segnato nell'orologio della memoria come una pagina scritta su un vecchio libro che scolora, le lancette hanno fatto giostra di vita e i ricordi corrono sul cavallino bianco che cavalcavo da bambina.

Il mio Mompiano, raccontato nelle parole anziane davanti a un camino acceso, nelle sere d'estate seduta sui gradini dell'uscio di casa, presente e vivo in quell'aria giovane di bicicletta a ruota libera lungo le strade che si perdevano trai i campi e riscendevano nella polvere del cemento che costruiva nuovi quartieri, è respiro profondo che rallenta il passo e viaggia nei miei occhi con i colori leggeri di un acquerello.

Era terra di mezzo, luce di candela oltre i lampioni della città e il buio di confine, dove le montagne separano ciò che non ti appartiene.

Mompiano, cintura verde, era respiro di campagna sul tram piö bèl de Bressa che faceva la sua ultima fermata alla "Fonte", sorgente d'acqua fresca per le fontane delle piazze cittadine e appaganti sorsate a bocca aperta.

Il vecchio Mompiano della mia nonna camminava sui piedi nudi che andavano alle filande della città e alle fabbriche di qua del Mella, oltre il silenzio del cimitero interrotto dalle nuove sirene. Era l'inizio del Novecento e sul quadro della vita si affacciavano i colori di un cambiamento a venire.

Il paese aveva una strada sola che dalla città faceva da spartiacque tra i campi, diventava taglio di borgo antico, dall'Ambaraga alla Piazza e saliva su alle Fontane. Una strada per tutti, tronco di un albero con pochi rami, disegnava percorsi stretti e fitti di cortili che si tenevano per mano fino al limite dei campi a guardare da lontano le cascine più isolate. Una chiesa e un campanile in ogni borgo, per riconoscersi nel suono delle campane e ci stavi bene in quel senso di appartenenza che connotava tutta la vita perché il sangue non si cambia.